Il cibo ha un rinomato e patinato bright side fatto sia di sostanza culturale, millenaria, sia di effimeri formalismi contemporanei (ad oggi enormemente fruttuosi). Che lo si osservi come sezione tematica delle librerie, come hashtag su Instagram, come main topic dei palinsesti televisivi o come produzione d’autore degli chef stellati, il cibo è divenuto il soggetto protagonista e ossessivo delle nostre vite, è l’extra ordinario nel quotidiano (spesso travalicando la sfera del pasto). Riformulatosi con sostanziali switch semantici, da sostanza nutritiva a connettore di socialità, oggi si afferma come star indiscussa di comunicazioni multilivello.
È interessante notare come in Italia si faccia uso del termine inglese food per riferirsi a tale accezione e, dunque, al soggetto del fenomeno definito “Foodism”.
Ma veniamo al suo dark side, ciò che mi affascina di più (e che è repellente o sconveniente per molti). L’alter ego della dimensione edulcorante ed attraente del food è il soggetto spinoso dell’ambito di ricerca definito Food Politics, il campo minato, oscuro e iniquo del cibo. Rimane nel buio risultante dall’occhio di bue puntato sui frutti et similia perfettamente stereometrici, grandi, tirati a lucido, impiattati, impaginati.
È il calderone delle esternalità negative – primariamente ambientali e sociali – degli avocado cileni o dei pomodori della Capitanata. È l’ombrello disciplinare che raduna lo studio della scarsità idrica e del caporalato, tanto quanto i disturbi del comportamento alimentare e il land grabbing, i sistemi della GDO e gli aiuti umanitari, il diritto al cibo e la sovranità alimentare. Insomma, il cibo è un Giano Bifronte che si è voltato di 90 gradi.
Ora un volto ci fissa, spavaldo, con il suo incontenibile “io” egoico e i tratti fisiognomici perfettamente rispondenti alle proporzioni auree. Si cura di avere sempre il nostro sguardo incantato e concentrato su di lui, non rivelando mai la presenza del secondo volto, di quello che ora diviene un “retro”, un backstage funzionale al successo e alla potenza del primo, un retrobottega immenso, incasinato, maleodorante e scivoloso.
Relazione e separazione. Desiderio e repulsione. Comunità ed esclusione. Vita e morte.
Et voilà, la paradigmatica dualità del cibo oggi.
(Evelyn Leveghi)