A Tel Aviv potrei essere al tempo stesso la proprietaria di una casa come una senzatetto.
Camminando verso casa di ritorno dalla spiaggia, percorrendo le strade che scorrono a ovest fino al Mediterraneo, mi fermo a una bancarella di quel famoso chef, ordino qualcosa servito in una pita e me lo mangio in piedi, mentre la salsa piccante e la tahini mi colano dalle mani. Ed ecco che incontro alcuni amici e vecchie conoscenze: ci chiediamo “ma hamazav?”, come va? Rispondiamo “basababa”, alla grande, che “balagan”, è tutto un gran caos.
La mia Tel Aviv è una città di estremi, una metropoli che si vede grande nel Paese delle start-up, in cui quasi tutti sembrano avere idee innovative per sviluppare qualcosa di creativo e andarsene, ma continuano a vivere qui in una sorta di piacevole palude. Se qualcuno mi taglia la strada nel traffico di questa città che non dorme mai, che si autocelebra come in una grande parata che dura tutto l’anno, so come mandarlo a quel paese con un sorriso. Ed è probabile che finiremo entrambi per scoppiare a ridere quando scopriremo di esserci già incontrati, in qualche momento del nostro passato condiviso.
A Tel Aviv, il principio dei sei gradi di separazione è ridotto al punto tale che tutte le persone sembrano far parte di un unico tessuto umano: “Tutti gli israeliani sono responsabili l’uno dell’altro”. Quando sto per perdere le speranze nel labirinto della burocrazia, c’è sempre un conoscente pronto ad aiutarmi a trovare una scorciatoia, dicendo, “Ci penso io!”, “allai”, me ne occupo io. Grazie di cuore. “Be-kef, achoti”.
La mia Tel Aviv è simultanea, complessa, diversa. E non abbiamo ancora parlato del suo nome ufficiale, Tel Aviv-Yafo [ ــــــــــاََــــــــــافي], e degli strati che la compongono, ben più antichi dei 112 anni che ci separano dalla sua fondazione. È una realtà in costante cambiamento come un cantiere senza fine: chiassosa, aperta, semplice ma illogica, terribilmente costosa ma anche sporchissima, aggressiva e diretta nei modi ma anche facile da amare. Un luogo in cui rifugiarsi, o semplicemente casa.
(Mirjam Šein Meiri)