Come fare per sentirsi a casa? Me lo sono chiesta per l’ennesima volta mentre preparavo una piccola valigia in attesa di trascorrere qualche giorno nella mia ex città natale, Tel Aviv, per poi ritrovarmi intrappolata in questa domanda per 154 giorni, dall’inverno all’estate del primo anno della pandemia, di cui ricordo ogni cosa.
Ogni volta che torno a casa, inizio già a prepararmi per la partenza successiva, separandomi dal ricordo di questa casa. Un addio che deve ancora arrivare. Un addio già pronunciato. Parlo con me stessa, la me stessa che ha perso la memoria, che è già stata qui, ma era diversa. Mi sdoppio, mi prendo gentilmente per mano, e mi dico con voce dolcissima: vieni con me, ti accompagno io, ti mostrerò come uscire da questo senso di alienazione e sentirti a casa. Ecco, guarda, dico a me stessa, questi sono i tuoi vestiti, qui è dove tieni lo zucchero per le due tazze di caffè che bevi ogni mattina. Questa è la finestra dalla quale ti piace osservare l’albero grande nel giardino recintato, ogni giorno e nel bel mezzo della notte, quando è illuminato dalla luna, e la strada solitamente trafficata è vuota, tranne per le anatre nello stagno del piccolo giardino alle spalle del palazzo. Non te lo ricordi? Una volta vivevi qui, non è vero?
Ascolto i discorsi in italiano rivolti a me e pronunciati intorno a me. Quanto ne capisco? Quando ho iniziato a sentirmi a casa nella lingua? Quanti codici culturali sono riuscita a tradurre per me stessa?
La mia casa è fatta di ricordi. Il codice segreto che permette di aprirla è l’odore. È così che riesco a ricordare.
Come sentirsi a casa?
Non serve portare nulla. Nemmeno una valigia.
Tutto ciò che mi serve è proprio qui. Tutto ciò che desidero. Tutto è al suo posto. Nella tasca del mio cappotto nero, nasconderò un sasso o un ramoscello con una foglia presi dall’albero. Sentirò l’odore e mi ricorderò come fare per sentirmi a casa.
(Mirjam Šein Meiri)