Nonostante tutto, alcuni nativi del nord America continuano a perpetuare il rituale del Potlatch, una cerimonia in cui, nella negoziazione dei rapporti di forza tra le persone di una comunità, il potere si acquista dilapidando – e non accumulando – ricchezze che talvolta vengono donate all’altro come atto di avvincimento, e quindi di controversa ostilità. In “Communitas”, Roberto Esposito evidenzia come a fondamento della comunità (cum munus), più che la condivisione del proprio, vi sia l’istituto del dono che genera debito, dell’assoggettamento dell’altro in una condizione di squilibrio.
Nel tardo liberismo le relazioni possono diventare l’ultima frontiera del fabbricabile/acquistabile. Logorati dalla pratica di attacco alla fiducia perpetrata da un mercato pervasivo di ogni area dell’esistenza e della cognizione, la connessione tra gli uomini diventa merce preziosa e la produzione del consenso è tra le attività più profittevoli. Per osmosi cerebrale, con tali logiche capita si introietti, quale valore, il reciproco vincolo purché sia. Immaginiamo il turbamento della signora Iole quando scopre che la sua vicina di casa è partita – chissà per dove, maledetta – senza che trapelasse nulla. Oltre alla difesa antropologicamente esplicabile della sicurezza data dalla coesione di vicinato, si istituisce il terrore per un’area di influenze che minaccia di disgregarsi.
Ciò che esce fuori dalla celebrazione del condiviso è spesso una minaccia: la parola “divisivo” è coniata e utilizzata con dispregio in contesti in cui ciò che divide va eluso e non elaborato. Il solo atto di concepire un elemento di discontinuità nella propria tessitura, è motivo di debolezza eticamente deprecabile, nei raggruppamenti umani che si percepiscono in concorrenza con ciò che si raggruppa al di là da se stessi.
(Donato Faruolo)