Cultural Studies

Mi sono avvicinata all’insegnamento in età piuttosto avanzata rispetto alla media. Non sorprende dunque che rispetto agli anni Settanta, quando li avevo consultati l’ultima volta, i piani di studio delle materie legate al design fossero molto più vari e sfaccettati. Nel 2005 proposi alla Parsons di tenere un corso di design e cultura, e non avevo la minima idea dell’esistenza di un campo di studi chiamato Cultural Studies. Lo scoprii di lì a breve.

I Cultural Studies non sono tanto un ambito specifico, quanto un insieme di prospettive diverse sulle credenze, i pregiudizi e le condizioni che danno forma alle nostre esistenze in quanto animali sociali. Pensiamo al genere, alla razza, alla classe, all’etnia e ai nazionalismi, e successivamente prendiamoli come dei costrutti. Secondo questa prospettiva, è possibile intendere i Cultural Studies come un’estensione dei movimenti per i diritti civili degli anni Sessanta, che avevano rifiutato le discriminazioni e l’arbitrarietà delle categorie predefinite.

Nel design, questo approccio potrebbe tradursi nel rifiuto del concetto generico di “users” a favore di persone e comunità ben precise. Nell’abbracciare uno spettro di culture che andava dal basso all’alto, dai mercati ai musei, i Cultural Studies hanno creato i presupposti dell’odierno Social Design. Esaminando le dinamiche del quotidiano e non soltanto le sue caratteristiche, i Cultural Studies hanno inoltre contribuito a spostare sempre più l’attenzione del design verso tutto ciò che è informale e strategico (e dunque, per definizione, opposto al potere), sottolineando così la natura essenzialmente critica del design. Questo approccio, applicato al design, ha creato una serie di contro narrazioni che proseguono tuttora sia all’interno sia all’esterno della professione.

(Susan Yelavich)