Se ne stanno sparse per tutta la Sicilia, non solo nei più grandi centri urbani, a testimoniare che hanno presidiato il territorio, tra il Settecento e gli inizi del Novecento.
Simbolo di ricchezza di una società agricola ancorata al latifondo, le più antiche; le meno storiche, anch’esse simbolo di ricchezza, anche ostentata, ma non legata alla nobiltà intanto decaduta, impronte, piuttosto, di una classe borghese emergente.
In fondo svolgevano la stessa funzione: segnalare la solidità economica di un casato o di una famiglia e, quindi, il potere, antica e non depurabile droga.
A seconda degli obiettivi accarezzati, costituiscono, nella diffusa comune decadenza, un campionario di realtà interessante da esplorare: vere e proprie costruzioni fastose e comunque architettonicamente pregevoli, nei luoghi destinati alla villeggiatura fuori dalla città, oppure solidi, rassicuranti edifici idonei a distinguere i proprietari, frequentemente definiti <<padroni>> (… non tutti baroni) dalla manovalanza contadina e povera che affollava borghi e borghetti vicini. L’energia delle braccia solo più tardi sarebbe stata sostituita da quella elettrica. Questi ultimi involucri sono sparsi per tutta l’isola, a volte in luoghi scarsamente raggiungibili che rimangono ignoti ai più. C’è chi li ha cercati, censendone circa cinquecento.
Tante sembrano destinate a venire giù, magari per opera di qualche terremoto, altre, forse, aspettano di ricevere attenzione e cure che regalino una seconda occasione: non più simbolo di ricchezza e potere, ma duttili strutture in attesa di destinazioni nuove, nutrici e muse per fruizioni artistiche e culturali.
Non più contenitori di ambizioni, ma veicoli per contenuti. Ospitando, insomma, una nuova nobiltà.
(Maria Pagano e Salvatore Giuliano)