Virale

Esiste un momento più infausto del 2021 per scrivere la definizione del termine “virale”? Si, forse il Trecento durante la peste bubbonica.

Qualcosa è virale se è in grado di replicarsi rapidamente, da persona a persona, e diffondersi con estrema rapidità. Richard Dawkins nel 1976 conia il termine “memetica” (da cui meme) per definire il modo in cui le idee si replicano, cambiano ed evolvono. Proprio come fa una ricetta.

Pensiamo alla carbonara: tutti conosciamo la ricetta della carbonara, o pensiamo di conoscerla. L’abbiamo letta da qualche parte o sentita da qualcuno, magari abbiamo apportato qualche variazione, l’abbiamo provata, cotta e magnata. Infine l’abbiamo passata a qualcun altro, leggermente modificata. Una ricetta è un ottimo esempio di meme.

A un certo punto un docente di biologia, Lauren Ancel Meyers, ha detto che “i meme si diffondono sui social nello stesso modo in cui le malattie si diffondono tra la popolazione offline”.

Ma quali sono i contenuti che si diffondono più velocemente, al punto da essere definiti “virali”? Michele Pagani, storico pubblicitario italiano, a un certo punto (scherzosamente, ma anche no) ha scritto che esistono le quattro S del marketing virale: Sesso, Sadomaso, Splatter e Stronzate.

La realtà è che le chiavi – a parità di contenuto – sono due: umana e algoritmica. Naturalmente tutto ciò che sollecita l’attenzione degli untori umani (gattini, risse e tutto quanto rientri nelle quattro S) è un buon candidato per la propagazione da parte degli umani. Gli algoritmi invece (su Facebook, Instagram, YouTube e TikTok in modo diverso) tendono a premiare altri parametri: ciò che riceve attenzione in poco tempo, ciò che attira i like di “super utenti”, ciò che riceve molti commenti, per esempio.

Ciò che sappiamo è che la chiave risiede in questi due fattori, entrambi imperscrutabili.

Ciò che ancora non sappiamo è se abbiamo bisogno di un vaccino contro tutti questi gattini.

(Alessandro Mininno)